E, sanza aver rispetto ch’ella fosse
Figlia del maggior Re ch’abbia
il Levante,
Da troppo amor constretta si condusse
A farsi moglie d’un
povero fante.
All’ultimo l’istoria si ridusse,
Che ‘l pastor fe’
portar la gemma inante,
Ch’alla sua dipartenza, per mercede
Del buono albergo, Angelica gli diede.
Questa conclusion fu la secure
Che ’l capo a un colpo
gli levo dal collo,
Poi che d’innumerabil battiture
Si vide il manigoldo Amor
satollo.
Celar si studia Orlando il duolo; e pure
Quel gli fa forza, e male
asconder puollo;
Per lacrime e suspir da bocca e d’occhi
Convien, voglia o non voglia, al fin che
scocchi.
Poi ch’allagare il freno al dolor
puote
(Che resta solo, e senza altrui
rispetto),
Giu da gli occhi rigando per le gote
Sparge un fiume di lacrime
su ’l petto:
Sospira e geme, e va con spesse ruote
Di qua di la tutto cercando
il letto;
E piu duro ch’un sasso, e piu pungente
Che se fosse d’urtica, se lo sente.
In tanto aspro travaglio gli soccorre,
Che nel medesmo letto in che
giaceva
L’ingrata donna venutasi a porre
Col suo drudo piu volte esser
doveva.
Non altrimenti or quella piuma abborre
Ne con minor prestezza se
ne leva,
Che de l’erba il villan, che s’era
messo
Per chiuder gli occhi, e vegga il serpe
appresso.
Quel letto, quella casa, quel pastore
Immantinente in tant’odio
gli casca,
Che senza aspettar luna, o che l’albore
Che va dinanzi al nuovo giorno,
nasca,
Piglia l’arme e il destriero, et
esce fuore
Per mezo il bosco alla piu
oscura frasca;
E quando poi gli e avviso d’esser
solo,
Con gridi et urli apre le porte al duolo.
Di pianger mai, mai di gridar non resta;
Ne la notte ne ’l di
si da mai pace;
Fugge cittadi e borghi, e alla foresta
Su ’l terren duro al
discoperto giace.
Di se si maraviglia ch’abbia in
testa
Una fontana d’acqua
si vivace,
E come sospirar possa mai tanto;
E spesso dice a se cosi nel pianto:
Queste non son piu lacrime, che fuore
Stillo da gli occhi con si
larga vena.
Non suppliron le lacrime al dolore;
Finir, ch’a mezo era
il dolore a pena.
Dal fuoco spinto ora il vitale umore
Fugge per quella via ch’a
gli occhi mena;
Et e quel che si versa, e trarra insieme
E ’l dolore e la vita all’ore
estreme.
Questi, ch’indizio fan del mio tormento,
Sospir non sono; ne i sospir
son tali.
Quelli han triegua talora; io mai non
sento
Che ’l petto mio men
la sua pena esali.
Amor, che m’arde il cor, fa questo
vento,
Mentre dibatte intorno al
fuoco l’ali.
Amor, con che miracolo lo fai,
Che ’n fuoco il tenghi, e nol consumi
mai?