Pero ti voglio la vita lasciare,
Ma non tornasti piu per darmi
inciampo.
Questo la fuga mi fe simulare,
Ne v’ebbi altro partito a
darti scampo.
Se pur ti piace meco battagliare,
Morto ne rimarrai su questo
campo;
Ma siami testimonio il cielo e ’l
sole,
Che darti morte mi dispiace e duole.
Il Conte gli rispose molto umano,
Perche avea preso gia di lui
pietate;
Quanto sei, disse, piu franco e soprano,
Piu di te mi rincresce in
veritate,
Che sarai morto, e non sei Cristiano,
Ed anderai tra l’anime
dannate;
Ma se vuoi il corpo e l’anima salvare,
Piglia battesmo, e lascierotti andare.
Disse Agricane, e riguardollo in viso:
Se tu sei Cristiano, Orlando
sei.
Chi mi facesse Re del Paradiso,
Con tal ventura non la cangierei;
Ma sin or ti ricordo e dotti avviso,
Che non mi parli de’
fatti de’ Dei,
Perche potresti predicar invano;
Difenda it suo ciascun co ’l brando
in mano.
Ne piu parole; ma trasse Tranchera,
E verso Orlando con ardir
s’affronta.
Or si comincia la battaglia fiera,
Con aspri colpi, di taglio
e di ponta;
Ciascun e di prodezza una lumiera,
E sterno insieme, com’il
libro conta,
Da mezzo giorno insino a notte scura,
Sempre piu franchi a la battaglia dura.
Ma poi che ’l sol avea passato il
monte
E cominciossi a far il ciel
stellato,
Prima verso del Re parlava it Conte;
Che farem, disse, the ’l
giorno n’e andato?
Disse Agricane, con parole pronte:
Ambi ci poseremo in questo
prato,
E domattina, come il giorno appare,
Ritorneremo insieme a battagliare.
Cosi d’accordo il partito si prese;
Lega il destrier ciascun come
gli piace,
Poi sopra a l’erba verde si distese:
Come fosse tra loro antica
pace,
L’uno a l’altro vicino era
e palese.
Orlando presso al fonte isteso
giace,
Ed Agricane al bosco piu vicino
Stassi colcato, a l’ombra d’un
gran pino.
E ragionando insieme tutta via
Di cose degne e condecenti
a loro,
Guardava il Conte il ciel, poscia dicia:
Questo the ora veggiamo, e
un bel lavoro,
Che fece la divina Monarchia,
La luna d’argento e
le stelle d’oro,
E la luce del giorno e ’l sol lucente,
Dio tutto ha fatto per l’umana gente.
Disse Agricane: Io comprendo per
certo,
Che to vuoi de la fede ragionare;
Io di nulla scienza son esperto,
Ne mai sendo fanciul, volsi
imparare;
E ruppi il capo al maestro mio per merto;
Poi non si pote un altro ritrovare,
Che mi mostrasse libro, ne scrittura,
Tanto ciascun avea di me paura.
E cosi spesi la mia fanciullezza,
In caccie, in giochi d’arme
e in cavalcare;
Ne mi par che convenga a gentilezza,
Star tutto il giorno ne’
libri a pensare;
Ma la forza del corpo e la destrezza
Conviensi al cavaliero esercitare;
Dottrina al prete, ed al dottor sta bene;
Io tanto saccio quanto mi conviene.